Gli imperfetti conosciuti di “Perfetti sconosciuti”

Pubblicato il da Cinzia Funicelli

Sembrerebbe una di quelle commedie italiane in cui si cerca di illustrare qualche tipica dinamica relazionale senza però riuscire a rovistare per bene nelle emozioni più profonde. E invece, no. “Perfetti sconosciuti”, la pellicola di Paolo Genovese, sa bene su quali fragilità e paure far leva, tanto da trasformarsi nel giro di 97 minuti da film leggero e a tratti comico a tragicommedia dal retrogusto amarissimo e pungente. Ad un certo punto, infatti, si smette di ridere, se non nervosamente, e si assiste impotenti e con uno strano presentimento a una sequela di eventi, alcuni dei quali forse un po’ portati all’estremo, che lascia storditi e amareggiati.
Il film si svolge quasi interamente in una stanza, la sala da pranzo di una coppia di coniugi che ha invitato a cena gli amici storici di lui con le rispettive mogli. Ruoli amicali e sentimentali sembrano già definiti, così come affiatamenti, conflitti e distanze emotive, tutto sembra noto e familiare. Poi, però, qualcuno propone di fare un gioco. Ognuno dovrà poggiare il suo cellulare sul tavolo, leggere ad alta voce qualsiasi messaggio gli arriverà durante la cena, e rispondere a qualsiasi chiamata con il viva voce. E così, la stanza si trasforma in una sorta di scenario orwelliano, in cui piccoli e grandi segreti diventano di pubblico dominio, tutti spiano e sono spiati, emergono fragilità e mancanze inaspettate, e i confini individuali progressivamente si assottigliano.
Anche lo spettatore sente di prendere parte a questa cena e a questo gioco, tanto da provare curiosità e ansia ogni qual volta squilla il cellulare di uno dei protagonisti e insieme agli altri personaggi si mette attentamente in ascolto per carpire qualche suo inaspettato segreto. Tra una chiamata e un messaggio di Whatsapp, seguendo le associazioni di pensiero generate dalle intrusioni telefoniche gli amici affrontano gli argomenti più vari, la maternità, il rapporto con i figli, la sessualità coniugale, la fedeltà, la cura di un genitore anziano, proprio come avviene in una cena qualsiasi, e lo spettatore ascolta i vari passaggi sentendosi chiamato in causa a più riprese, fino a quando i piccoli segreti che possono essere taciuti per il bene di un rapporto lasciano progressivamente e drammaticamente spazio a grandi segreti che sono veri e propri inganni e che aprono buie voragini di delusione.
Gli spunti di riflessione che il film propone sono diversi e estremamente attuali.
Innanzitutto, viene da chiedersi quanto peso abbia la tecnologia nelle nostre vite e che influenza abbia sulla nostra concezione di cosa siano il “segreto”, la “verità”, la “sincerità”.
Non capita quasi più di pranzare o cenare senza aver poggiato il proprio cellulare sul tavolo, quasi come se fosse impossibile staccarsene. Sembra una sorta di appendice, un prolungamento di noi stessi, “una scatola nera”, come viene definito nel film, in cui abbiamo conservato tutto di noi. Lì dentro ci sono alcuni nostri segreti, quelli preziosi che ci rendono unici, come una passione coltivata in silenzio, o quelli più sordidi che non abbiamo il coraggio di confessare, come un tradimento. Paradossalmente sono affidati a un mezzo che di segreto ha ben poco, perché spalanca le porte ai social network, alle chat, a un’estesa comunità virtuale, e in quegli spazi lascia sempre una traccia. Quindi, ci sarebbe da chiedersi se è proprio così vero che oggigiorno abbiamo una nostra sfera privata e se in realtà non si faccia di tutto per allontanarsi da essa. I “perfetti sconosciuti”, forse, sono sconosciuti principalmente a se stessi. E allora probabilmente la sincerità che i protagonisti del film cercano affannosamente potrebbe derivare solo da una profonda conoscenza e comprensione di se stessi, e dal desiderio conseguente di comprendere anche l’altro per evitare di fare qualcosa che possa ferirlo.
Durante la visione del film, si oscilla tra la sensazione che non sia così opportuno dirsi tutto e che sia necessario mantenere intatta una propria area segreta, e l’impressione che al contrario omettere determinate verità possa minare fortemente l’autenticità di un rapporto. Lo scenario voyeuristico e esibizionistico in cui ci troviamo ormai da anni, che ci fa sentire continuamente osservati e al contempo costantemente impegnati a osservare la vita degli altri, ha contribuito alla fragilità dei confini individuali. Da un lato, quindi, vorremmo difenderli a spada tratta e tenere ben chiuse a chiave le nostre “verità”, per cercare di arginare qualsiasi tipo di invasione altrui, anche quando è legittima, dall’altro lato, sentiamo di navigare in un grande mare che seppur virtuale pullula pericolosamente di tentazioni, occasioni, potenziali incontri, e ciò ci spinge ad esigere il più possibile sincerità totale.
L’altro aspetto, correlato a questi, su cui la pellicola permette di riflettere è quanto utilizziamo cellulari e Internet per evitare la fatica di sostare nel momento presente e per evadere in un altro posto che richiede meno responsabilità in quanto non propriamente reale. E così può capitare, ad esempio, che coniugi ormai raffreddatisi, anziché interrogarsi su ciò che ha messo alla prova il loro sentimento, si rifugino in surrogati di attenzioni ricevuti sul web o sul cellulare, veri e propri riempitivi fatti di chat e fotografie. Niente di reale, ma sicuramente veloce da ottenere e utile per distrarsi dal problema. È ciò che avviene quando si passa da un lavoro all’altro o si intrattengono più relazioni clandestine per avere l’impressione di non mettere radici.
Forse è proprio questo il “sollievo” effimero che lo smartphone consente di ottenere: stare di continuo da un’altra parte, sottrarsi all’impegno, al legame, alla fatica di una relazione tutta da costruire, lontana dall’ideale perfetto che abbiamo in mente. E forse è ciò che questi personaggi, così bene interpretati, vogliono dirci. Il cellulare è semplicemente lo strumento che ha permesso alle nostre paure di venire allo scoperto. La paura di incontrare l’altro, di conoscerlo realmente nelle sue imperfezioni, di comprenderlo, di farci conoscere nelle nostre imperfezioni, di sentirci legati, quindi di ritrovarci inevitabilmente vulnerabili.
“Frangibili”, come dice efficacemente uno dei perfetti sconosciuti.

Articoli Recenti

Categorie